IL TRIBUNALE 
 
    Nella causa iscritta al n. r.g.  11039/2010  promossa  da  Raciti
Adele  (C.F.  RCTDLA72S64C351N),  domiciliata  in  via  Toselli   43,
Catania; rappresentata e  difesa  dall'avv.  Marina  Marcello  giusta
procura in atti, attrice; 
    Contro Radelpi Immobiliare S.r.l. (C.F. 04587420870), domiciliata
in  via  Umberto  143,  Catania;  rappresentata  e  difesa  dall'avv.
Franchina Gaetano giusta procura in atti, convenuta; 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza. 
    Rilevato che con atto di citazione notificato il 5 novembre 2010,
Raciti Adele ha impugnato la  delibera  dell'assemblea  straordinaria
dei soci della Radelpi Immobiliare s.r.l., assunta il 5  maggio  2010
ed iscritta nel registro delle imprese il successivo 25 maggio  2010,
con la quale sono state  approvate  talune  manovre  determinanti  la
riduzione e la contestuale ricostituzione del capitale sociale  della
stessa; 
    Che costituitasi in giudizio la  Radelpi  Immobiliare  s.r.l.  ha
eccepito l'improponibilita' della domanda e la decadenza  dall'azione
- in presenza di clausola compromissoria  per  arbitrato  rituale  in
seno all'art. 36 dello statuto sociale -, concludendo nel merito  per
l'integrale rigetto dell'impugnativa in quanto infondata in  fatto  e
in diritto; 
    Che respinto dal Giudice Istruttore  ricorso  cautelare  avanzato
dall'attrice teso ad ottenere la sospensione della delibera impugnata
ex art. 2378 c.c., in ragione dell'esistenza della eccepita  clausola
compromissoria, il successivo reclamo proposto dalla medesima istante
e' stato rigettato dal Collegio; 
    Che omessa ogni attivita' istruttoria, la causa e' stata posta in
decisione all'udienza del 26 marzo 2012, sulle  conclusioni  come  in
atti formulate dalle parti; 
    Ritenuto che il collegio valuta rilevante  e  non  manifestamente
infondata la questione di  legittimita'  costituzionalita'  dell'art.
819-ter, comma 2, c.p.c., sollevata in  sede  di  precisazione  delle
conclusioni  dalla  difesa  dell'odierna  attrice,  laddove  siffatta
norma,  nei  rapporti  tra  arbitrato  e  processo  civile,   prevede
espressamente che non si applichi,  fra  le  altre  disposizioni  del
codice di rito, l'art. 50  c.p.c.,  a  tenore  del  quale  quando  la
riassunzione della causa davanti al giudice  dichiarato  incompetente
avviene nel termine fissato "il processo continua  davanti  al  nuovo
giudice"; 
    Che, invero, l'applicazione di siffatta norma, introdotta per  la
prima volta nell'ordinamento processuale italiano dal codice di  rito
del '40 e in origine prevista per regolare esclusivamente i  rapporti
di mera "competenza" tra  giudici  tutti  appartenenti  al  complesso
della giurisdizione ordinaria, determina  che  si  esplichi  la  c.d.
translatio  iudicii,  con  l'effetto  che  occorre  fare  riferimento
all'originario   atto   introduttivo   al    fine    di    verificare
l'ammissibilita' della domanda in 
    Relazione ai termini di decadenza a cui  la  legge  sottopone  la
proponibilita' della stessa (tra le tante, Cass. 30.1.1998, n. 974); 
    Che, com'e' noto, mutando il granitico  orientamento  manifestato
in precedenza dalla S.C., le  sezioni  unite  della  Cassazione,  con
sentenza del 22.2.2007, n. 4109, considerato che il  giusto  processo
non e' diretto allo scopo di sfociare in una decisione di mero  rito,
ma di rendere una pronuncia di merito stabilendo chi ha torto  e  chi
ha ragione, in base a una lettura costituzionalmente orientata  della
disciplina  della  materia,  hanno  ritenuto   che   nell'ordinamento
processuale  oggi  sia  stato  dato  ingresso  al   principio   della
translatio iudicii dal  giudice  ordinario  al  giudice  speciale,  e
viceversa, anche in caso  di  pronuncia  resa  sulla  "giurisdizione"
nell'ambito cioe' dei rapporti tra  giudici  appartenenti  ad  ordini
diversi; 
    Che, successivamente, con sentenza del 12.3.2007, n. 77, la Corte
costituzionale ha dichiarato incostituzionale l'art. 30  della  legge
6.12.1971,   n.   1034-Istituzione   dei   tribunali   amministrativi
regionali,  nella  parte  in  cui  non  prevede  che   gli   effetti,
sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a  giudice
privo di giurisdizione si conservino, a seguito  di  declinatoria  di
giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice  munito  di
giurisdizione; 
    Che anche il Giudice delle Leggi,  nella  cennata  pronuncia,  ha
avuto modo di evidenziare come il vigente codice di procedura civile,
nel regolare questioni di rito - ed in particolare  nella  disciplina
che  all'individuazione  del  giudice  competente  -  si  ispira   al
principio per cui le disposizioni processuali  non  sono  fine  a  se
stesse, ma  funzionali  alla  miglior  qualita'  della  decisione  di
merito, non sacrificando il  diritto  delle  parti  ad  ottenere  una
risposta, affermativa o negativa, in  ordine  al  "bene  della  vita"
oggetto della loro contesa; 
    Che il legislatore ordinario, preso atto  dei  descritti  arresti
giurisprudenziali, e' intervenuto per regolare i rapporti tra giudici
appartenenti a diverse giurisdizioni, prima con l'art. 59 della legge
18.6.2009, n. 69 e poi con l'art. 11 del d.lgs.  2  luglio  2010,  n.
104-Codice del processo amministrativo, norme in  forza  delle  quali
oggi, nel caso in cui il giudice adito dichiari il proprio difetto di
giurisdizione, se il processo e' tempestivamente  riproposto  innanzi
al giudice indicato nella pronuncia  che  declina  la  giurisdizione,
"sono  fatti  salvi  gli  effetti  sostanziali  e  processuali  della
domanda"; 
    Che, allora, alla luce della  descritta  recente  evoluzione  del
quadro giurisprudenziale e normativo,  la  norma  qui  sospettata  di
incostituzionalita', quale espressione del  sistema  delle  c.d.  vie
parallele (che consente la contemporanea pendenza della medesima lite
sia innanzi al giudice ordinario che  all'arbitro  rituale),  facendo
espresso divieto di  applicare  il  richiamato  art.  50  c.p.c.  nei
rapporti tra giudici ordinari e arbitri rituali, finisce tuttavia per
mostrarsi in contrasto con gli artt.  3,  24  e  111  Cost.,  poiche'
irragionevolmente e in plateale disarmonia con la vigente  disciplina
codicistica che regola i rapporti tra i giudici ordinari e tra questi
ultimi e quelli speciali, violando il diritto di difesa delle parti e
i principi del giusto processo, determina in  caso  di  pronuncia  di
diniego della  competenza  del  giudice  ordinario  adito  in  favore
dell'arbitro, l'impossibilita' di fare salvi gli effetti  sostanziali
e processuali dell'originaria domanda, proposta  dall'attore  davanti
al  giudice  ordinario,  nel   giudizio   arbitrale   successivamente
instaurato; 
    Che in direzione contraria non pare oggi potersi sostenere - come
mostra di ritenere, negli scritti difensivi finali, la  difesa  della
societa' convenuta - che osterebbe all'accoglimento  della  questione
di legittimita' costituzionale la natura dell'arbitrato quale atto di
mera autonomia privata, configurandosi il  compromesso  quale  deroga
alla  giurisdizione,  restando  la   pronuncia   che   decide   sulla
deferibilita' agli arbitri di una controversia, astretta  nell'ambito
delle questioni di merito e non di rito (cosi', a  partire  da  Cass.
s.u. 3.4.2000, n. 527; Cass. 3.9.2003, n. 12855; Cass. 21.7.2004,  n.
13516; Cass. 8.2.2005, n. 2524;  Cass.  27.5.2005,  n.  11315;  Cass,
21.10.2005, n. 20351); 
    Che, invero, pure a ritenere il compromesso come atto di rinuncia
alla giurisdizionale statale, rimane arduo rinvenire la ratio  di  un
assetto normativo che, a fronte  della  medesima  domanda  giudiziale
spiccata originariamente innanzi  ad  un  giudice  ordinario,  faccia
conseguire la  perdita  irrimediabile  degli  effetti  sostanziali  e
processuali che discendono dalla ridetta domanda,  nel  caso  in  cui
venga accertato che la stessa si palesi come "improponibile"  innanzi
al giudice adito - poiche' doveva essere promossa innanzi all'arbitro
privato  -,  mentre  escluda  qualsivoglia  decadenza  sostanziale  o
processuale quando resti acclarato il  difetto  di  competenza  o  di
giurisdizione, in favore di altro giudice, rispettivamente, ordinario
o speciale; 
    Che,  inoltre,  pure   dovendosi   riconoscere   la   persistente
problematicita'  dell'esatta  qualificazione  dei  rapporti  fra   la
giurisdizione ordinaria e quella arbitrale, va evidenziato come  gia'
il Giudice delle Leggi, nella  nota  pronuncia  che  ha  riconosciuto
all'arbitro il potere di sollevare in via  incidentale  questione  di
legittimita' costituzionale delle leggi, ha avuto  modo  di  chiarire
che il giudizio arbitrale non si differenzia da quello che si  svolge
davanti agli organi statuali della giurisdizione, trattandosi  di  un
giudizio che e' potenzialmente  fungibile  con  quello  degli  organi
giurisdizionali (cosi' Corte cost. 28.11.2001, n. 376); 
    Che, del resto, dopo la novella della  disciplina  dell'arbitrato
introdotta dal d.lgs. 2.2.2006, n.  40  -  pacificamente  applicabile
ratione temporis alla odierna controversia -,  alla  luce  del  nuovo
819-ter, comma 1, c.p.c., a tenore del quale  "La  sentenza,  con  la
quale il giudice afferma o nega la propria competenza in relazione  a
una convenzione d'arbitrato, e' impugnabile a norma degli artt. 42  e
43", occorre prendere atto, alla stregua  del  c.d.  diritto  vivente
formatosi in base alle piu' recenti pronunce della Corte regolatrice,
che  il   legislatore   ha   inteso   inequivocabilmente   ricondurre
nell'ambito   della   "competenza"    siffatti    rapporti,    avendo
espressamente approntato come mezzo di reazione contro una  pronuncia
in uno di tali sensi, il  regolamento  di  competenza,  necessario  o
facoltativo, a seconda che la pronuncia  al  riguardo  sia  esclusiva
oppure concorrente con una  decisione  su  una  questione  di  merito
(cosi': Cass. 4.8.2011, n. 17019;  Cass.  5.6.2011,  n.  5510;  Cass.
26.11.2010, n. 24082; Cass. s.u. n. 6.9.2010, n. 19047); 
    Ritenuto che la questione di costituzionalita' dell'art. 819-ter,
comma 2, c.p.c. prospettata dall'attrice e'  altresi'  rilevante,  in
quanto   la   pronuncia   di   incompetenza   del   tribunale   adito
sull'impugnativa della delibera assunta dall'assemblea  straordinaria
dei soci della Radelpi Immobiliare  s.r.l.,  ove  non  fossero  fatti
salvi  gli  effetti  sostanziali  e  processuali  della  domanda   in
precedenza  spiccata  dalla  Raciti  innanzi  al  giudice  ordinario,
mediante il meccanismo offerto dall'art.  50  c.p.c.,  determinerebbe
comunque la decadenza dell'attrice (ex art. 2377, comma 6, c.c.)  dal
potere di impugnare la medesima delibera  innanzi  all'arbitro  unico
designando.